La città all’epoca della tecno-scienza: la finestra sul mondo secondo Antonio Martone

Con sguardo vigile alla contemporaneità e a  ciò che sul piano intellettuale è vocato a interpretarla, Antonio Martone(professore di filosofia politica a Salerno, studioso di Merleau-Ponty e Camus, oltre che accademico con trascorsi di collaborazione con il filosofo Roberto Esposito), uomo fra l’altro animato da una grande passione per le arti figurative, decide di scandagliare le grandi questioni antropologiche emergenti partendo dalla dimensione che sembra più a portata di mano, quella urbana, davvero quotidianamente accessibile a tutti: la città.  La veste elettronica, quindi tecno-scientifica, che questa ha indossato ormai negli ultimi decenni è il punto di partenza dell’analisi di Martone, che traccia un panorama culturale dove si dipanano le dinamiche della nuova economia, con le sue inevitabili conseguenze sull’uomo odierno, costantemente minacciato da ineliminabili meccanismi estranianti.  Un’esplorazione intellettuale che elegge Tocqueville come bussola per attuare un orientamento intellettuale nel ginepraio della metropoli odierna, un atto d’amore verso i grandi classici della filosofia politica che si spiega solo con la loro innegabile credibilità. Raramente, purtroppo, ci si imbatte in saggi di intonazione filosofica con il pregio della chiarezza espositiva e nello stesso tempo della robustezza dimostrativa, nonché della puntialità dei riferimenti teorici presi in considerazione, soddisfacendo così il palato non solo dell’accademico di professione ma anche più semplicemente del lettore impegnato, alla ricerca di un invito alla lettura di strumenti concettuali più raffinati del solito. Il saggio di Martone appare, appunto, possedere questo pregio sostanziale, per cui oltre ad affrontare problematiche relative allo stravolgimento determinato dalle nuove tecnologie interattive, allarga lo sguardo a fenomeni ancora tutti da indagare, quali ad esempio la mancanza di un’organizzazione credibile di un antagonismo politico-sociale alle ideologie dominanti. Un esempio davvero apprezzabile di evitare le tentazioni di puro autocompiacimento intellettuale che ammorba non pochi “prodotti” editoriali di sedicenti filosofi televisivi contemporanei, più votati alla pubblicistica d’intrattenimento culturale che all’impegno saggistico tout court. Così, con linearità e incisività argomentativa, il saggio di Martone parte dall’assunto che senza un’adeguata genealogia della storia non sia possibile una fenomenologia dell’attualità, suggerendo così una chiave ermeneutica strutturata sull’asse Nietzsche-Foucault-Gadamer, dove l’ultimo di questi termini (Gadamer) è da intendersi come appunto sguardo sulla “storia degli effetti”(Wirkungsgeschichte), ovvero consapevolezza non dei semplici eventi bensì delle conseguenze che questi esprimono. Per cui, in una cornice stilistica asciutta e diretta, in meno di duecento pagine di libro, si alternano riflessioni in linea con recenti   e  pungolanti posizioni teoriche, che si aggiungono a intuizioni intellettuali più personali, che probabilmente avrebbero meritato un più ampio respiro trattatistico. Declinando in maniera personale la categoria di “non-luogo” di Marc Augè, Martone rivela di essere in linea con le critiche espresse all’indirizzo della tecno-politica espressa, ad esempio, dall’asiatico Byung-Chul-Han e rileva consonanze non secondarie con il nostrano Raffaele Simone già critico dei poteri “inglobanti” capaci di fagocitare qualsiasi soggetto politico potenzialmente antagonista, nonché sostenitore della “democrazia delle competenze culturali”, quale unico argine alla deriva delle banalizzazioni della partecipazione pubblica, già denunciate da Nietzsche e da Guy Debord. Sul piano delle intuizioni più personali, invece, di questo saggio spicca il capitolo dedicato all’analisi della produttività dei simboli da parte del potere, un tentativo investigativo in direzione di un’interessante prospettiva di una fenomenologia del simbolismo ad esso riferito. Un capitolo dove Martone allude esplicitamente ai pericoli insiti in tutte le formula politiche votate ad esaurire l’immaginario umano in termini di definitività simbolica, con conseguenze nefaste in termini di creatività  culturale, dove l’esaurimento dell’orizzonte del pensiero pensante coincide appunto con questa saturazione del simbolico. In parole povere, sotto la lente d’ingrandimento c’è una delle tendenze più tipiche del simbolico, ovvero la vocazione insopprimibile a sostituirsi integralmente a ciò che intende rappresentare. Le implicazione di una definitiva sostituzione in tale senso, annullerebbe proprio la creatività della dimensione simbolica, che al contrario appare vivere proprio dello “scarto”, mai colmabile del tutto, fra significato e significante, che alimentano il mondo simbolico esclusivamente proprio  nella loro reciproca e continua tensione esistente fra loro. In ultimo, Martone accenna alla questione che potrebbe occupare nel prossimo futuro i filosofi più o meno di professione: l’urgenza per l’uomo di essere davvero all’altezza dell’apparato tecnico che lui stesso ha contribuito a creare per la conservazione della sua stessa libertà. Un tema che l’autore si limita ad accennare e che avrebbe meritato un ulteriore approfondimento o che, forse, si può interpretare come un prossimo impegno intellettuale che l’autore intende onorare nei suoi successivi studi.