Controcultura

Alla ricerca di un’arte davvero “contro”

Di Francesco Clemente

Insomma, il filosofo Federico Ballanti e il critico musicale Ernesto Assante hanno scritto un libro sulle rivoluzioni annunciate spesso dalla musica, dalla poesia e dalla letteratura…il periodo che prendono in esame è quello compreso fra il 1955 e il 1980…Che dire…ci sarebbe tantissimo da proporre in una discussione, per la semplice constatazione che ciò che un tempo veniva considerato “pop” era spesso sinonimo di qualcosa da sminuire. Invece, ci troviamo qui a prendere atto che, almeno sul piano delle istanze( circa gli esiti lo scetticismo è più che giustificato), la musica e i suoi correlati poetici e letterari, soprattutto negli Stati Uniti degli anni 60’ e ’70, hanno davvero svolto una funzione di speranza del cambiamento. È davvero difficile, infatti, non cadere nel più scontato degli stereotipi quando si pensa a Lennon e alla sua Imagine perché si parla di icone incancellabili, legate a doppio filo con la storia che sogna un mondo senza guerre…Ma il punto è: oggi come oggi, dove le grandi organizzazioni discografiche, editoriali e dedite anche alle arti figurative hanno messo a punto dei meccanismi rigidissimi per il lancio e la promozione dei “prodotti” culturali, perfettamente nel solco delle esigenze dell’intrattenimento di massa, è davvero possibile che l’arte possa ancora presentarsi come sguardo verso possibili rivoluzioni? In parole povere, c’è spazio ancora per una vera “controcultura”, oppure ci si deve rassegnare ad un’arte neanche consolatoria, ma praticamente “neutra” per non dire appiattita sugli istinti umani del momento? La rivoluzione è sorella dell’utopia perché entrambe intrattengono un particolare rapporto con il tempo, o meglio con il futuro. Possono esserci rivoluzioni e utopie che non spronano a guardare avanti? La musica, l’arte in genere, non sono spesso forme “laiche” di profezia, per cui sono stati spesso gli strumenti di cui si è servito il cosmo per prospettare scenari nuovi? Insomma, se ormai i talents televisivi ci svelano come “funziona” il sistema( tutto perfettamente confezionato per i “giovani”), si può davvero ancora parlare di un’arte libera e quindi autentica? Non è che forse la società tutta dovrebbe avvertire il dovere di tutelare gli spazi di libertà degli artisti? Sembra sia passato molto tempo da quando Nanni Moretti in Ecce Bombo invitatava l’occasionale intervistatore a rivolgere le domande non a lui ma ad un suo amico, per il semplice fatto che costui sapesse fare bene il “giovane”. Allora, se la gioventù è in qualche modo plasmata dal sistema, che ne è della carica trasformatrice che essa dovrebbe in realtà esprimere? Si può parlare di “giovani vecchi”. In ultimo, non è che la “gioventù” così come l’abbiamo conosciuta, è in realtà una categoria datata?

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