Il gioco d’azzardo della Guerra fredda: un film del 1983 per riflettere sulla bomba atomica

Una partita a scacchi che poteva costarci cara: La Guerra fredda di “Wargames”

di Francesco Clemente

“Wargames” è un film statunitense del 1983 del regista  John Badham, con musiche di  Arthur B. Rubinstein e gli attori  Matthew Broderick, Dabney Coleman, John Wood, Ally Sheedy, Barry Corbin, Juanin Clay, Kent Williams, Dennis Lipscomb, Joe Dorsey. Fu presentato  fuori concorso al 36º Festival di Cannes, suscitando un vivo interesse circa i rischi dei sistemi informatici preposti al controllo dei sistemi di difesa missilistici a testata atomica, proponendo temi e argomenti tipici dei primi anni ottanta caratterizzati dalla corsa agli armamenti, dallo stallo degli accordi SALT e dal dispiegamento degli euromissili, denunciando, infine, la possibilità di un’autodistruzione di massa.  

Per chi, ormai, ha varcato la soglia dei quarant’anni è abbastanza facile ritrovare nel ripostiglio dei ricordi di questo film cult degli anni ’80. All’epoca iniziavano a diffondersi i primi personal computer per cui chi ha memoria sa che in famiglia si accendevano le dispute su quale fosse il migliore fra quei “giocattoli” informatici che stavano aprendo un nuovo universo nella vita di ognuno. A parte il mitico Vic 20, moltissimi per non dire tutti di quella generazione ricordano il mirabolante Commodore 64, con quel sistema di trasmissione dei dati che passava attraverso un registratore magnetico esterno all’hardware di quella scatola magica che ha fatto sognare milioni di adolescenti.  Questo film di Badham, di fatto, rappresentò un implicito omaggio a questi gingilli della Commodore, ma fu anche un elogio all’intelligenza non riconosciuta di quegli adolescenti che si annoiavano a scuola, nascondendo dei talenti straordinari che famiglia e società non riuscivano proprio a vedere. Sì, perché la storia di questo film è quella del giovane David Lightman, appassionato di informatica, abile e promettente hacker che vuole introdursi nel computer di una nota casa di videogiochi, la Protovision, che sta per lanciare una collana di nuovi prodotti. Nel tentativo di connettersi a tutti i computer dello stesso stato in cui ha sede l’azienda, ovvero la California, il ragazzo riesce invece a raggiungere un supercomputer del NORAD studiato per rispondere ad un attacco missilistico: lo WOPR (War Operation Plan Response). Involontariamente si scatena un putiferio, perché questo calcolatore, ubicato nella base fortezza di comando NORAD, valuta azioni e contromosse ad un eventuale attacco russo basandosi sull’esecuzione di numerosi giochi strategici: una volta letto l’elenco di tali giochi, David si convince di aver raggiunto la Protovision ed inizia una partita a Guerra Termonucleare Globale contro lo WOPR, partita nella quale assume il ruolo dei sovietici. Dopo pochi minuti David deve abbandonare la connessione, ma il super-computer ha già avvertito gli stati maggiori dell’esercito segnalando un attacco nucleare imminente, che portano lo stato della difesa (DEFCON) degli Stati Uniti d’America sempre più verso la guerra. Ci si limita a questa breve sintesi della trama, senza svelarne il finale perché sarebbe un peccato per chi volesse gustarsi il finale avvincente e autoironico. Un film che alla fine stempera il crescendo della tensione in un  lieto fine abbastanza prevedibile, senza tuttavia rinunciare ad un suo spessore di fondo. Dunque, vale la pena soffermarvisi,  anche perchè  all’epoca esso apparve a qualcuno come l’ennesimo tentativo sensazionalistico per denunciare i pericoli della guerra fredda, per di più con una certa ruffianeria che strizzava l’occhio alle abilità non riconosciute degli adolescenti irrequieti. Il motivo è presto detto: non tutti sanno e forse non tutti ricordano che nel 1983, lo stesso anno di uscita del film, il mondo andò molto vicino allo scoppio di una guerra nucleare. A sventarla fu un ufficiale russo che non si fece prendere dal panico in occasione di un errore del sistema missilistico del suo paese.

I riferimenti alla cronaca dell’epoca

Chi è stato Stanislav Petrov? Molto semplicemente, l’uomo che  ha salvato il mondo dalla terza guerra mondiale, senza avere un adeguato riconoscimento per ciò che è stato in grado di fare. Il fatto risale al 26 settembre del 1983 durante la Guerra Fredda tra gli Stati Uniti e l’Urss. All’epoca era un tenente colonnello dell’esercito sovietico e  quella notte si trovava all’interno del bunker Serpukhov-15, situato sul confine occidentale dell’Urss, per monitorare i cieli russi e lanciare l’allarme in caso di attacchi nucleari americani. Il bunker era dotato di uno dei fiori all’occhiello della tecnologia militare sovietica: il Krokus, un sistema informatico avanzatissimo che permetteva di monitorare le attività missilistiche americane di tutto il mondo. Insomma qualora gli Usa avessero deciso di lanciare qualunque arma distruttiva, i sovietici li avrebbero immediatamente sgamati e soprattutto sarebbero stati in grado di passare al contro-attacco. Ma proprio quella sera la spia del Krokus si accese prevenendo l’arrivo di un missile nucleare appena scagliato dalla base militare del Montana. I radar intercettori erano sbagliati, nonostante i tecnici  fossero convinti del contrario. La verità è che non era vero che gli Stati Uniti avevano lanciato decine di missili termonucleari contro l’Unione Sovietica; lui non seguì la procedura, non avvertì il Cremlino che avrebbe avuto meno di quindici minuti per decidere di reagire, facendo partire bombe atomiche dirette verso l’America e l’Europa. In quei pochi minuti che seguirono l’allarme dato a mezzanotte e quindici minuti, Petrov salvò il pianeta dall’olocausto nucleare. I suoi superiori, quando poi si chiarì che si era trattato di un errore del sistema, decisero di non premiarlo. Il colonnello, anzi, ricevette un richiamo per non aver seguito la procedura standard e la sua storia è rimasta segreta fino al crollo dell’Unione Sovietica. Ma anche dopo, in Russia non si è quasi mai parlato di Petrov. Il colonnello ha ricevuto qualche riconoscimento all’estero, ma nulla in patria. Alla fine,  l’uomo che ha salvato il mondo è morto come è vissuto: nell’anonimato, senza riconoscimenti o quasi, in un misero appartamento di una cittadina satellite di Mosca. Per mesi, anzi, nessuno ne ha saputo nulla e la notizia è trapelata solo ora perché qualcuno l’ha cercato nell’ anniversario di quel 26 settembre 1983.

 L’atomica, la guerra fredda  e il pericolo attuale alle soglie del 2018

Wargames è un film che ci interroga su più livelli di discussione. In primo luogo, ci sbatte in faccia l’ovvietà della distruttività delle armi nucleari. Un dato, se vogliamo banale ma neanche troppo  a pensarci bene, visto che da qualche hanno certi dittatori asiatici giocano a minacciare un conflitto atomico con gli Stati Uniti, che dal canto loro non si fanno saltare la mosca al naso. Per cui, rivedere questo film degli anni ’80 forse farebbe bene a chi, fra uno spot pubblicitario e l’altro, non si rende minimamente conto di cosa possa comportare un pericolo del genere, confidando forse eccessivamente nella “distanza” delle immagini riportare dai media, nella tacita convinzione che le guerre sono sempre lontane e, soprattutto, “altrove”. Se la Guerra fredda fra Stati Uniti e Unione sovietica deve il suo nome al fatto che “calda”  non lo è mai stata, in quanto conflitto geopolitico giocato sullo scacchiere del mondo con strategie di finanziamento a governi compiacenti, alleanze militari, sgarbi diplomatici, e soprattutto con una competizione economico-militare, è altrettanto vero che essa è stata in alcuni momenti storici sul punto di scoppiare all’insaputa del mondo intero, come appunto la vicenda di  Petrov ha avuto modo di dimostrare. In secondo luogo, è bene sottolineare il fatto che questo film pose in primo piano il ruolo dei sistemi di controllo “intelligente” e artificiale nella gestione di ambiti delicatissimi come quello militare, denunciando implicitamente l’eccessiva fiducia umana risposta in tali sistemi. Sicché, sempre in relazione alla vicenda di Petrov del 1983, non si può eludere un’altra domanda: il fattore umano, ormai dato per subordinato nei confronti dell’intelligenza artificiale, è ancora determinate per la soluzione di questioni cruciali oppure si può mettere in soffitta in questo senso? Insomma: è giusto che i sistemi artificiali abbiano carta bianca in decisioni di cui ne va del destino dell’intera umanità? “Can che abbaia non morde”, è l’espressione che  si suol dire quando si allude alle scaramucce fra potenti, oppure di un potente all’indirizzo dei malcapitati. Alla fin fine, qualcuno direbbe, quella guerra è sempre rimasta “fredda”. 

Tuttavia, all ’indomani dello scoppio delle primissime bombe nucleari in Giappone nel 1945 e della prima bomba H, come si può pensare che debba essere sempre così? Non è che forse ci siamo fin troppo cullati a quel copione internazionale della competizione fra americani e sovietici, al punto da pensare che l’atomica forse non esiste più e faccia parte di una fiction creata ad arte? Ale soglie del 2018, tuttavia, una considerazione ironica si può fare, tutta a vantaggio di questo bel film del 1983, nel quale John Lennon, se non fosse morto 3 anni prima, avrebbe dovuto avere la parte di uno scienziato-filosofo ormai eremita nei confronti del mondo: la realtà oggi, forse è peggiore dello scenario tracciato dal film, perché mentre nella finzione la guerra termonucleare poteva scoppiare per un errore tecnico, nella realtà può scoppiare per la volontà perfettamente cosciente dei governati. E questa volta, non sarebbe solo una partita a scacchi, bensì qualcosa ben più grave.

 

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