Liberarsi del controllo: individui e comunità nell’epoca di Twitter

L’eresia e l’ “idiozia” all’epoca dei big data: La psicopolitica secondo Byung-Chul Han

 

“Psicopolitica” è un saggio del filosofo coreano Byung-Chul Han edito dall’editore Nottetempo di Roma nel 2016. Docente di Filosofia e Studi culturali a Berlino, l’autore   medita sul panorama sociale contemporaneo, cercando di tracciarne il nuovo volto politico. Al centro della sua riflessione c’è l’impatto particolare delle nuove modalità di comunicazione che si sviluppano nella cornice della strategia di monitoraggio continuo a cui siamo sottoposti, attraverso la condivisione continua, alla narrazione di se stessi prodotta dal “post” o dal “twitt” insistente, espedienti efficaci delle nuove finalità di controllo che avviene nella polarità concettuale di “psiche” e “politica”.

Con la semplicità comunicativa tipica dei saggi che non amano sdottoreggiare, il coreano   Byung-Chul Han, in meno di centoventi pagine di libro, dimostra di aver “digerito” la grande letteratura filosofica occidentale consacrata alla critica sociale di otto-novecento, primi fra tutti Marx e Foucault. Un omaggio non celebrativo, bensì vivacemente dialettico, all’impostazione investigativa dei “maestri del sospetto”, dove il confronto teorico (in particolare con Foucault) serve all’autore per pungolare tutti noi su un interrogativo ormai ineludibile.  Nell’epoca dell’infinita possibilità di connessione e di informazione è davvero così compatibile con la nostra libertà? La domanda si lega alla trattazione del cambio di paradigma del potere che intende manipolare le masse, perché con le nuove modalità di comunicazione si assiste al definitivo passaggio dall’idea di imporre il silenzio, attraverso la censura di stato, all’invito insistente a narrare di se stessi, di “pubblicizzare” la nostra vita privata. Praticamente, nell’epoca dei social network si realizzerebbe il controllo sociale più raffinato mai conosciuto dalla civiltà occidentale, per il semplice fatto che “il controllato”, “il sorvegliato” (ovvero ogni singola persona) è complice compiaciuto del “sorvegliante” (in altre parole, il sistema). Alla luce di ciò, si comprende la provocazione elegante di questo filosofo coreano impastato di critica sociale: il recupero fondamentale dell’eresia e dell’idiozia, nella loro accezione originaria. L’effetto finale è quello di una denuncia non urlata, ma non per questo non incisiva negli esiti analitici raggiunti dal filosofo coreano, per cui  l’eresia è, infatti, la scelta libera, la rottura del dogma ufficiale, la possibilità della rottura per esercitare lo sviluppo dello spirito e dell’intelligenza; l’ “idiozia” è l’essere ignari in modo autentico, la sprovvedutezza vera di fronte alle situazioni, ovvero il possesso di una purezza interiore che apre le concrete possibilità di parlare una lunga nuova, capace di sovvertire il linguaggio cristallizzato dell’esistente. Insomma, siamo alle prese con un saggio agile e dalla prosa misurata che invita all’esercizio critico di ciò che tutti i poteri che si sono avvicendati nella storia hanno tentato di gestire in maniera indiscussa: la libertà individuale di ognuno. Una riflessione, tuttavia, che suggerisce tacitamente anche la difficoltà per l’uomo contemporaneo di mettere in campo le strategie necessarie per far fronte alla “dolce” sudditanza   cui invitano le nuove tecnologie di comunicazione, per la semplice constatazione che il condizionamento esercitato dal sistema è  spesso davvero debordante,nonchè a volte poco contenibile. Un libro che sembra proporsi come la sintesi felice dell’insegnamento di   Baumann e del nostro Luciano Floridi,  per di più impreziosito dalla sobrietà stilistica della sapienza orientale.

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